Tabiano Castello

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UN PÒ DI STORIA
Un po' di storia a proposito del Castello di Tabiano

Dalla Preistoria all'Alto Medioevo

I primi insediamenti
Nella zona di Tabiano Castello non sono stati fino ad ora trovati stanziamenti umani nel periodo che va dal buio della preistoria, "illuminato" dal fuoco circa mezzo milione di anni or sono, fino ai primi segni più raffinati di "religiosità" dell'età megalitica; tanto meno caverne con dipinti, come quelle di Lascaux o Altamira, monumenti megalitici tipo Stonehenge.
Nelle zone circostanti, in particolare nelle valli del Ceno e del Taro, abbondano invece tracce di villaggi risalenti a varie epoche che vanno dal paleolitico, quando comparvero i primi homini sapiens, al Mesolitico (da 8000 a 3000 anni a.C.), con i ghiacci che si ritirano dalla pianura padana e dalle Prealpi, fino al neolitico ed alla preistoria più tecnologica, con l'età del bronzo e del ferro.

Arrivano i Celti e gli Etruschi
Le tribù celte arrivarono nell'Italia del nord in successive ondate dall'XI al V secolo a.C. Alcune presero dimora intorno a Fidenza; si dice addirittura d'origine Celtica la tradizionale "erre" - molto simile a quella francese - tipica del dialetto e della parlata del luogo.
A partire dal secolo VIII a.C. arrivano gli etruschi, inventori dell'arco in pietra e creatori di una civiltà raffinata; fondano Bologna e numerose città in Emilia; resti di tumuli etruschi sono stati trovati a Cabriolo, a poca distanza da Tabiano Castello.

I Romani in Emilia
Tra il 241 e il 190 a.C. i Romani sconfiggono le tribù celte della Gallia Cisalpina e si insediano nei loro territori, fondando numerose colonie, che divengono ben presto città, come Parma, Fidentia Julia e Piacenza, lungo la grande via fatta costruire dal console Emilio per consentire il passaggio delle sue legioni da Ariminium (Rimini) fino a Mediolanum (Milano).
I legionari si insediano anche nel "vicus" precedentemente abitato dai Galli Celetati, che ben presto chiamano "Salso Majore"; erigono un fortilizio sulla cima del monte Castellazzo per difendere i pozzi del sale dalle incursioni di bande armate provenienti dal retroterra montano, come lo confermano reperti archeologici trovati in loco. Risalirebbe a quell'epoca il nucleo abitato ancora oggi chiamato Brugnola.

I legionari a Tabiano
La presenza romana a Tabiano è certa. Lo testimonia innanzitutto la chiara origine latina del toponimo, come la gran parte dei nomi che terminano in "anus": "Tablanus" secondo il Calzolari deriverebbe da "Octavianus".
La collocazione strategica di una platea rocciosa, che si erge sulla pianura a pochi chilometri dalla via Emilia attirò senza dubbio l'attenzione dei legionari accampati nel vicino "Castrum Fidentiae" ed a Salso de majori.
Sicuramente i legionari costruirono una torre in località Stazzano, sita sul colle di Montebellano (il monte della guerra), due chilometri a valle del castello; di essa oggi non esistono tracce, ma fino al basso medioevo segnava il confine sud del territorio di Borgo San Donnino.

Le invasioni barbariche
Con la caduta dell'impero Romano, la penisola italiana è oggetto d'invasioni e razzie. In ondate successive arrivano gli Ostrogoti ed i Longobardi, più tardi gli Ungari; dopo il fallito tentativo di riconquista da parte dei Bizantini, iniziano secoli terribili e di quasi totale anarchia, caratterizzati dal ritorno degli acquitrini e della malaria nella pianura e da una drastica caduta della popolazione. Il senso d'insicurezza spinge i pochi sopravvissuti a fuggire in luoghi alti, più facilmente difendibili ed a costruirvi piccole città fortificate; in questo lungo periodo l'alto colle di Tabiano viene utilizzato da "profughi" di Fidenza Julia, Salso de Majori e villaggi di pianura.
Ne fa testimonianza l'antichissima origine della Parrocchia di Tabiano, di cui si hanno prime notizie ai tempi del re Longobardo Liutprando, all'inizio dell'VIII secolo, quando già esisteva una chiesa intitolata a San Pietro.

Il castello entra nella Storia

La nascita del feudalesimo
La progressiva dissoluzione dell'impero carolingio e delle autorità centrali porta anche in Italia alla nascita del feudalesimo, inteso nella sua essenza come compenso del sovrano ai propri guerrieri per servizi resi in guerra, suggellato da giuramento di fedeltà.
Il castello di Tabiano vive la sua epoca più brillante proprio nel periodo feudale, quando diviene la più importante fortezza appenninica della antica famiglia Pallavicino. Un periodo irripetibile, che termina con il sorgere delle Signorie: nel Rinascimento il castello non vedrà più gli antichi fasti, anche se ha saputo rinnovarsi nell'epoca moderna come residenza signorile e centro di una importante impresa agricola.

Le oscure origini del Castello
Le notizie riguardo la nascita del castello sono scarse e contraddittorie. Il Canonico Bricchi, Parroco di Tabiano all'inizio del XX secolo, ne fa risalire le origini intorno al IX secolo, ad opera dei Pallavicino; indica il 905 ad opera di Adalberto marchese di Toscana, in concomitanza alla discesa in Italia dell'imperatore Ottone I di Germania; il Capelli riporta una datazione molto posteriore, il 1145, quando i Pallavicino entrarono in possesso del feudo, prima dominio del Vescovo di Parma.
Starebbe a confermare questo antico legame di Tabiano un documento del 3 gennaio 969, che riporta una donazione di terre in Tabiano ai Canonici della città.
Molto probabilmente Tabiano apparteneva ai Pallavicino già all'inizio, se non prima del XII secolo, poiché all'epoca Oberto primo marchese "signoreggiava sulle corti di Borgo San Donnino, Parola e di altri circonvicini luoghi".
Nel quadro di tante voci discordi, si può ipotizzare che la costruzione del castello medioevale risalga all'XI secolo, utilizzando come base un antico insediamento difensivo di origine romana e longobarda. È comunque certa la presenza di una possente fortezza agli inizi del XII secolo, nella quale Delfino Pallavicino poté resistere per ben due anni agli assalti dei Piacentini.

I Marchesi Pallavicino
Gli antenati dei Pallavicino si erano mossi dalla vicina Toscana verso il nord, superando i passi appenninici della Cisa e del Brattello per insediarsi nelle valli del Ceno e del Taro.
La storia della famiglia scorre nell'arco di un millennio ed è molto complessa, poiché i Pallavicino si sono suddivisi in numerosi rami: Lombardia o Busseto, Genova, Austria, Ungheria e Roma; ed ancora per il susseguirsi di molti Adalberto, Oberto, Uberto, facilmente confondibili tra loro con il trascorrere del tempo.
A noi interessa che gli antenati dei Pallavicino fossero presenti nella zona tra Parma e Piacenza già alla fine del X secolo con terre e castelli. Interessano i suoi personaggi più celebri, che hanno coinvolto Tabiano nella loro vicenda, inserendolo nella storia dell'epoca, nelle contese fra gli Imperatori tedeschi ed il Papato, fra guelfi e ghibellini, nelle interminabili guerre tra Parma, Cremona, Piacenza e Milano.
Quale importante fortezza schierata con l'imperatore, Tabiano vive da vicino episodi significativi della lotta per la supremazia tra l'impero ed il crescente potere dei Comuni, spesso alleati del Papato.

La guerra fra Delfino e il padre Oberto
Il Castello di Tabiano appare per la prima volta in documenti storici all'inizio del XII secolo, nel quadro delle vicende di Oberto, il primo grande personaggio Pallavicino, insieme ad Uberto il Grande ed a Rolando il Magnifico.
Nel 1143, ancora vivente, Oberto divise tra i figli i suoi vasti possedimenti di Parma e Piacenza: ad Alberto il Greco (morto crociato) le terre della Liguria e del Genovese, a Guglielmo il contado di Piacenza, a Delfino e Tancredi le terre ed i castelli verso il Taro, compreso Tabiano. Da questa divisione nacque una sanguinosa contesa tra Delfino e il padre Oberto, che coinvolse anche i Comuni di Parma, Piacenza e Cremona e che ebbe come punto focale il castello di Tabiano.

Il monte della battaglia
Dopo la morte di Oberto nel 1148, il figlio Guglielmo ed i suoi alleati cinsero ancora d'assedio il Castello. Ma i soccorsi parmensi e cremonesi non si fecero attendere ed i Piacentini, per impedire il ricongiungimento con gli assediati, li prevennero affrontandoli in campo aperto. La battaglia fu durissima e si risolse a pomeriggio inoltrato quando Delfino, con una improvvisa sortita, effettuò una carica di cavalieri serrati l'uno all'altro, che gettò scompiglio tra gli assedianti e li costrinse ad una fuga disordinata.
Secondo una antichissima tradizione tabianese lo scontro avvenne intorno ad una collinetta che degrada dolcemente verso il piano e che ancor oggi viene chiamato "La Battaglia" , due chilometri in linea d'aria dal Castello, verso nord est.

Assedio e distruzione del castello
Nonostante la dura sconfitta, i Piacentini e Guglielmo non si diedero per vinti; per raggiungere il loro scopo favorirono il riaccendersi delle vecchie contese tra Cremonesi e Milanesi da una parte, fra Parmigiani e Reggiani dall'altra, contese che costrinsero gli alleati di Delfino a togliere le loro guarnigioni da Tabiano. Delfino, rimasto solo, resistette indomito ad un primo assalto a sorpresa effettuato dai Piacentini nel Giugno 1149: le difese del Castello dovevano essere di prim'ordine!
Ma nell'anno successivo non ebbe forze sufficienti per resistere ad un nuovo assedio. Subissato da moltissimi armati e macchine da guerra, il signore di Tabiano fu costretto a fuggire con i suoi fedeli.
Tabiano subì il saccheggio, seguito dall'incendio e dalla quasi completa distruzione.

La pace del Barbarossa
I Piacentini erano venuti in soccorso ad Oberto per rintuzzare le mire di Parma su Borgo San Donnino, contesa per secoli dalle due città. Tuttavia, conclusa vittoriosamente la campagna, avevano scarso interesse a mantenere un presidio molto lontano dalla loro città. Si accordarono quindi ben presto con Delfino, che, non appena rimesso piede fra le rovine, diede inizio ad una rapida ed efficiente ricostruzione: nel 1153 il castello era già tornato a nuova vita, senza dubbio più possente e più maestoso di prima. I rapporti giuridici tra Delfino ed il fratello Guglielmo vennero invece sistemati da Federico I di Svevia, che fece sancire una pace tra i due Pallavicino, nel corso della dieta di Roncaglia (1158).

Uberto il Grande

Le investiture dell'imperatore
Ma allora, quando Tabiano ritornò sotto l'egida dei Pallavicino? Siamo di fronte ad uno dei tantissimi misteri di questo castello. La spiegazione potrebbe venire dalla famosa investitura di Federico II ad Uberto il Grande, una delle figure più affascinanti dell'epoca, avvenuta nel maggio 1249 a Pisa, come riconoscimento della sua preziosa attività militare e giuridica a favore dell'impero: investitura che concede al fedele vassallo castelli, corti, ville, terre colte ed incolte, pascoli, boschi, mulini, diritti di pesca e di caccia, diritti di pedaggio sulle strade e lungo il Po, situati nelle Diocesi di Volterra, Cremona, Piacenza e Parma, compresi "castrum Tablani" e pozzi del sale a Salso e Cento Pozzi.

Ascesa e rapido crollo delle fortune di Uberto
Dopo la morte di Federico II, avvenuta nel 1250, l'attività politica e militare di Uberto si fece ancora più intensa; un'attività che lo portò a dominare per un decennio su buona parte della Lombardia, dell'Emilia e dello stesso Piemonte, precorrendo un tipo di signoria paragonabile a quella che in seguito avrebbero realizzato i Visconti.
La sua fortuna prese a declinare in concomitanza alla sconfitta definitiva degli ultimi Hohenstaufen, che decise le sorti dei Ghibellini d'Italia: Manfredi ucciso a Benevento nel 1265, Corradino sconfitto a Tagliacozzo nel 1268. In poco tempo i Guelfi di Parma, approfittando della nuova situazione, si impadronirono di quasi tutti i territori e castelli di Uberto e distrussero la stessa Busseto.

La luce dopo le tenebre

I Pallavicino di Scipione
Dopo lunghe tenebre, alla metà del XIV secolo si apre finalmente uno squarcio di luce: un importante atto notarile ci fa apparire in tutta la sua possenza il "Castrum Tablani", pieno possesso dei Marchesi di Scipione, discendenti di Manfredo Pallavicino, fratello di Uberto il Grande.
Si tratta del primo documento nella lunga storia del Castello, che fa emergere la sua notevole importanza e consistenza attraverso una minuziosa elencazione e valutazione delle sue terre, dei suoi numerosi vassalli e dei suoi affittuari ed una sia pur sommaria descrizione della rocca e delle sue case.
Nel 1267, poco prima della morte di Uberto il Grande, il Castello si era arreso senza combattere, venendo a patti con i Guelfi di Parma. Da quell'anno la sua storia era rimasta per lungo tempo avvolta nel silenzio.
Tuttavia l'atto del 1359 tace riguardo l'epoca nella quale Tabiano rientrò in possesso della famiglia Pallavicino. È molto probabile che nei primi decenni del XIV secolo Manfredino, figlio di Uberto il Grande, abbia riconquistato il Castello con l'aiuto dei Visconti nel corso delle guerre vittoriose contro il Comune di Parma e lo abbia ceduto ai cugini di Scipione come compenso per l'aiuto prestato nel recupero dei beni paterni.

Tabiano ritorna ai discendenti di Uberto il Grande
Gli eredi di Manfredo avevano nominato arbitro inappellabile per la divisione il cugino Uberto di Busseto, nipote di Uberto il Grande. Questi assegnò il feudo di Tabiano a Francesco, il membro più autorevole della famiglia. Francesco non aveva discendenti maschi e pertanto, secondo un'antica usanza dei Pallavicino, la sua eredità avrebbe dovuto essere destinata ai parenti più prossimi. Invece, a soli due anni dalla divisione, Francesco cedette Tabiano proprio ad Uberto.

Nicolò tra veleni e congiure

L'eccidio di Bargone
Ad Uberto succedette Nicolò, famoso per la sua ambizione e ferocia , che lo portarono, la prima ad un'abile azione diplomatica, la seconda a intrighi e congiure.
Nel 1374 Nicolò, mosso dalla bramosia, indusse Francesco di Scipione ad uccidere Giacomo di Bargone: "Francesco andò a bussare alle porte del castello, accompagnato da uno stuolo di armati travestiti da paggi e famigli. Accolto come gradito ospite, nel bel mezzo del banchetto Francesco ed i suoi uomini snudarono le spade e trucidarono Giacomo, suo figlio e quanti tentavano resistenza; poi violentarono le donne e le cacciarono via."

Il terribile Bernabò conquista Tabiano
La congiura di Bargone diede pretesto al terribile Bernabò Visconti di assalire ed espugnare Tabiano nello stesso anno 1374. Era però destino che Tabiano ritornasse ai Pallavicino: Gian Galeazzo Visconti, imprigionato lo zio Bernabò, ritenne opportuno restituire il Castello agli antichi feudatari, valutando saggio riconsegnare il feudo ad un casato di sicura fede ghibellina.

Un patto fra potenti
Tabiano rientrò giuridicamente nei possedimenti dei Pallavicino di Busseto nel quadro dei patti sottoscritti nel 1391 tra Gian Galeazzo e Nicolò, che un aulico testo nomina con i titoli di "omnium Pallavicinorum Princeps", nonché "Strenuum ac potentem militem".

L'assassinio
Nel 1399 Nicolò riuscì a sventare una congiura ordita da Giovanni Pallavicino, signore di Ravarano, per impossessarsi dei suoi castelli, insieme ad uno stuolo di notabili parmensi, sostenuti dal cardinale Fieschi. Nicolò non sfuggì tuttavia ad una seconda congiura avvenuta, si dice, proprio nel castello di Tabiano.

Rolando il Magnifico

Abile condottiero e politico spregiudicato
Rolando è la terza grande figura dei Pallavicino nel Medioevo, dopo Oberto nel XII secolo ed Uberto il Grande nel XIII. Figlio naturale di Nicolò, ma riconosciuto unico suo erede, orfano ancor bambino per l'avvelenamento del padre, venne allevato alla corte di Gian Galeazzo Visconti.
Si pose come unico obiettivo di ingrandire e rafforzare i suoi possedimenti e costituire una signoria sull'esempio di Milano. Ebbe successo, anche se per ottenerlo utilizzò mezzi leciti ed illeciti.
Figura ambigua quella di Rolando, come d'altronde la maggioranza dei Signori del suo tempo, ma uomo capace di utilizzare al meglio intelligenza e doti personali; alternando le armi alla diplomazia creò lo Stato Pallavicino un vero e proprio Stato, con le proprie leggi, la cui influenza sarebbe durata nel tempo, ben oltre il suo scioglimento decretato dai Farnese nel 1587.

Il testamento
Le vicende rinascimentali dei Pallavicino e del castello di Tabiano sono strettamente collegate al testamento di Rolando il Magnifico. Questi, nella sua preveggenza, aveva compreso che la comparsa delle Signorie e degli stati nazionali avrebbe segnato la fine dell'era feudale e che l'unica strada per conservare nel tempo un minimo di potere al piccolo Stato Pallavicino era quella di mantenerlo integro il più possibile. Per raggiungere questo obiettivo decise di assegnare il nucleo dei suoi possedimenti a Carlo, Lodovico, Pallavicino e Gian Francesco, con l'obbligo di mantenere la proprietà indivisa per almeno cento anni e di concedere un solo castello ciascuno a Nicolò, Uberto e Giovan Manfredo.
Alla morte di Rolando nel 1457, Francesco Sforza accettò l'invito dei figli a dirimere la vertenza come arbitro inappellabile. Dalla divisione nacquero tante piccole signorie locali, tra le quali Tabiano, che ben presto, con l'avvento dei Farnese alla metà del XVI secolo, avrebbero perso gran parte degli antichi privilegi e, in mancanza di eredi maschi, sarebbero scomparse, assorbite dalla Camera Ducale.

I marchesi di Tabiano

La perdita di importanza dei castelli nelle strategie militari
Il 1492 rappresenta soltanto uno spartiacque convenzionale tra Medioevo e Rinascimento. Il passaggio tra i due periodi storici non è avvenuto all'improvviso, ma è maturato lentamente nel tempo: il Rinascimento inizia nel Medioevo, una parte di Medioevo si prolunga nel Rinascimento, financo nell'era moderna.
Tuttavia, anche nel secolo XVI molti castelli ancora furono stretti d'assedio e conquistati; ma sotto le mura non si accalcavano le sparute milizie dei feudatari locali, ma gli eserciti delle grandi signorie o dei re di Francia e di Spagna, guidati dai capitani di ventura. Venuta meno la loro funzione originaria, molti castelli finirono per essere abbandonati ed andare in rovina. Altri castelli, meglio collocati od appartenenti a famiglie ancora in auge, divennero residenza abituale o saltuaria dei vecchi o di nuovi feudatari.

Una decadenza aurea
Questo passaggio progressivo si manifesta chiaramente anche nell'ambito della famiglia Pallavicino, con un lento spostamento da uomini d'arme a proprietari terrieri e gente di corte; si riflette anche sul castello, non più solida fortezza, ma residenza di campagna e centro di azienda agricola.
Con Rolando il Magnifico la storia dei Pallavicino giunge al suo apogeo; dopo di Lui inizia la fase discendente, che sarà tuttavia molto lenta.
Uomini d'arme non mancano tra i Pallavicino nei secoli XVI e XVII; ma l'antica famiglia assume sempre più le caratteristiche di nobiltà terriera, con molti suoi personaggi al servizio degli stessi Farnese e della Chiesa, non più alla guida di propri eserciti e alla amministrazione della giustizia nei propri territori. Una decadenza lunga, che terminerà con la estinzione di tutti i rami entro la fine del secolo successivo, ad eccezione di quello di Zibello.

Uberto primo di Tabiano
Uberto Pallavicino si insediò nel Feudo senza eccessiva voglia di risiedervi tutto l'anno, padrone com'era di Castellina presso Soragna. I cronisti riferiscono che avesse trascurato la manutenzione della fortezza di Tabiano, ritenendo diminuito il rischio di assalti di altri feudatari; ma la cinta muraria era indubbiamente rimasta solida per resistere a sporadiche azioni delle truppe mercenarie in transito nella zona, assetate soltanto di bottino.

I successori
Nell'arco di tre secoli,. dal 1458 al 1756, dal primo Uberto all'ultimo Odoardo, si susseguirono a Tabiano nove generazioni di Pallavicino: una discendenza che complessivamente supera il centinaio di persone, compresi i morti in tenera età. Soldati, chierici, funzionari pubblici, qualche badessa; ma si ha l'impressione che col passare del tempo i discendenti dell'antica famiglia trascorressero una parte sempre maggiore del loro tempo nelle loro abitazioni di Parma e che quando risiedevano nel Castello conducessero una vita relativamente tranquilla, signori di campagna, dediti a godersi le loro terre, a incontrarsi in feste e battute di caccia con i loro pari grado e con la vasta schiera dei cugini.
Nel 1513 Carlo recuperò le prerogative imperiali per i feudi Pallavicino, concessogli da Massimiliano Sforza. Alla morte di Carlo, il ramo di Tabiano si sdoppia: da un lato Uberto II, dall'altro lato il ramo di Ippolito, che tramanda il titolo di marchese. Molti Pallavicino abitarono stabilmente nel Castello fino alla metà del XVII secolo, in particolare quelli del ramo cadetto, come lo confermano i registri della Parrocchia, che riportano 46 battesimi, concentrati nel periodo dal 1566 al 1630. Le pochissime nascite nel secolo successivo (soltanto nove) confermano il definitivo trasferimento a Parma dei discendenti di Ippolito ed il risiedere sporadico al Castello del ramo di Uberto.

Condominio in famiglia
La situazione della proprietà nel XVII secolo appare molto confusa ed il Castello sembra divenire una specie di condominio. Nel 1628, con atto notarile di Antonio Maria Fortunato, il Marchese Uberto, figlio di Carlo, cedette una metà del feudo al Marchese Antonio Zoboli, ma ottant'anni dopo, nel 1712, Giulio Lucrezio Pallavicino Carissimi, Cavaliere di Camera del Principe Odoardo Farnese, chiese alla Camera Ducale di rientrarne in possesso.
Sembra che il tentativo non gli riuscisse, perché nel 1722 prese in locazione per 21 anni metà della Rocca, quella riguardante verso mezzogiorno. L'altra metà della rocca (riguardante verso tramontana ) era stata in possesso dallo stesso Marchese Antonio, che l'aveva concessa in locazione al Signor Giacomo Porta, il quale l'aveva sublocata al Marchese Odoardo Pallavicino, fratello di Giulio Lucrezio. In sostanza, due fratelli occupavano ciascuno metà del castello, avendo in comune il portone ed il cortile d'ingresso, i portici, le scale, il pozzo, le cisterne ed il cortile principale.

L'ultimo assedio
Il silenzio su Tabiano nel secolo XVII viene interrotto da un episodio di grande interesse, che conferma non solo la presenza nel Castello di una prospera comunità con a capo i marchesi Pallavicino, ma anche il permanere di robuste fortificazioni. Nel 1636 il Castello diviene infatti teatro di un assedio, probabilmente l'ultimo della sua lunga storia. In piena guerra dei trent'anni, gli Spagnoli hanno cacciato i francesi da Piacenza, limitandosi poi a scorrerie nel Ducato dei Farnese per depredare i piccoli villaggi. Verso la metà di agosto giungono anche a Salsomaggiore, ove trovano la cittadina semi abbandonata, perché molti abitanti, sotto la guida di Matteo Zancari e della moglie Brigida Morello, si sono rifugiati all'interno del castello di Tabiano.
I Pallavicino accolgono entro le mura tutti gli "Sfollati", di qualsiasi condizione sociale, almeno una cinquantina. Gli Spagnoli conducono numerosi assalti, ma sono sempre respinti dai castellani con l'aiuto degli sfollati, che si battono anch'essi valorosamente; l'assedio si protrae a lungo e mette a dura prova la resistenza degli assediati, sia per la mancanza di spazio e di cibo, sia, soprattutto, per la sete. L'assedio non si protrae a lungo, probabilmente non oltre l'autunno. In ogni caso, il 4 febbraio 1637 Odoardo Farnese firma la pace con la Spagna ed in breve gli invasori si ritirano da tutto il territorio di Salsomaggiore.

Dai Landi ai Corazza

La dinastia si estingue
Alla sua morte, avvenuta nel 1756, Odoardo non poté trasferire l'avito Castello a parenti più o meno prossimi, secondo l'antichissima usanza della famiglia: oltre un secolo prima i Farnese avevano infatti decretato che, in mancanza di discendenza diretta, i feudi sarebbero passati alla Camera Ducale.

La marchesa Ottavia
La Marchesa Ottavia rappresenta un punto di riferimento fondamentale nella storia di Tabiano. Attraverso di Lei il Castello rimase in un certo senso della famiglia Pallavicino fino al 1882, quando entrarono sulla scena i Corazza. Nata il 12 Luglio 1713, Ottavia era la primogenita di Giulio Lucrezio ed aveva ereditato dal padre, morto senza figli maschi, la gran parte delle proprietà terriere intorno al castello; terre in piena proprietà (allodio), non a titolo di feudo, e quindi non soggette a confisca da parte della Camera Ducale.
La piena proprietà della Marchesa, nel frattempo andata in sposa a Francesco Maria Landi, è confermata da due documenti: il primo contiene una stima di foraggi in 12 poderi intorno al Castello, in data 1761, a soli cinque anni dalla morte di Odoardo; il secondo riguarda la valutazione del Feudo effettuata nel 1771 dagli esperti della Camera Ducale.
Probabilmente esistono documenti che comprovano il passaggio del castello in piena proprietà alla coppia Landi-Pallavicino, ma sono sepolti chissà dove in qualche filza della Camera Ducale.
In ogni caso, pochi decenni dopo la confisca, la famiglia Pallavicino ritorna a Tabiano, per linea femminile.
Alla morte di Ottavia nel 1793, il Castello e le terre intorno passano al figlio Gian Battista Landi, in seguito al nipote Ferdinando; questi, non avendo eredi maschi, ne lascia erede la sorella Sofia, che nel 1835 lo porta in dote al marito Ferdinando Douglas Scotti di San Giorgio.
Non sembra che i Landi abbiano preso residenza stabile al Castello, lasciandolo semi abbandonato e parzialmente occupato da famiglie di fittavoli.

Entrano in scena Giacomo e Rosa Corazza
Un lontano giorno di fine Ottocento una giovane coppia si aggirava in calesse nelle colline di Salsomaggiore: erano Giacomo e Rosa Corazza, entrambi di antica famiglia di patrizi ticinesi, che ricercavano da tempo un luogo ameno e ridente, lontano dalle brume di Londra, ove dirigevano una fiorentissima attività industriale, creata pochi decenni prima da Carlo Gatti, padre di Rosa; lo volevano intorno a Parma, ove Giacomo era nato nel 1846 e dove risiedeva ancora suo padre Simone che aveva già acquistato una tenuta nella vicina e fertile pianura di Poviglio.
Ai due giovani Tabiano piacque a prima vista, sia per la collocazione stupenda sul colle che domina la pianura, sia per la struttura imponente del Castello, anche se in pessimo stato di conservazione, sia per l'ampia distesa di terre e boschi annessa. Non ultimo, la prossimità a Salsomaggiore, allora in piena espansione sotto l'impulso del marchese Dalla Rosa.
Vi era tanto da fare per rendere abitabile il maniero, ma Rosa e Giacomo non erano avvezzi a tirarsi indietro, resi esperti dalla complessa gestione delle attività londinesi. Attività fonte di buone rendite, che avrebbero consentito anche le imponenti opere di ristrutturazione del Castello e la valorizzazione delle terre intorno. Inviarono come ambasciatore alla Marchesa Sofia Landi maritata Douglas Scotti il fedele Mambriani ed in breve condussero a termine la trattativa: nel 1882 il Castello di Tabiano con tutte le sue pertinenze, parte del Borgo sottostante ed oltre 200 ettari di terre intorno, passava alla famiglia Corazza, che lo detiene da allora.

Carlo Corazza
Ultimo figlio di Giacomo e Rosa, Carlo Corazza prosegue l'opera intrapresa dai genitori e da suo nonno Carlo Gatti. Costretto a lasciare la gestione delle Terme di Salsomaggiore, espropriate da Giolitti per ragioni politiche, si dedica completamente all'attività agricola.
Compera nuovi poderi, che vanno ad aggiungersi a quelli dell'antico feudo Pallavicino, costruisce nuove stalle e fienili, ristruttura gli antichi e vetusti casali, apportandovi migliorie che negli anni Trenta sono da considerarsi avanzate; amplia i due caseifici ed i magazzini del formaggio, creando un complesso aziendale armonico e ben funzionante: una filiera dalla produzione al consumo, dal latte prodotto nelle sue stalle al burro e formaggio venduti ai negozi di Salsomaggiore.
Senza nulla sembrare, è il vero " dominus" della famiglia e dell'azienda che lui ha costruito e che sente come tutta sua, perché la nonna Rosa gli ha lasciato molto, senza dubbio, ma lui ha fatto fruttare i suoi talenti, raddoppiandoli, come nella parabola evangelica.
Vero imprenditore moderno, pur essendo un uomo all'antica, sa "governare" e scegliere i migliori collaboratori. Ha il dono di saper ascoltare, di mettere gli interlocutori a proprio agio, tende ad attenuare i contrasti fra le persone piuttosto che ad accentuarli, risolve i problemi dopo giusta ponderazione ma senza attendere le calende greche, sembra agire contro il suo immediato interesse, ma alla lunga si risulta vincente. Conosceva gli uomini e sa apprezzarne le virtù come a comprenderne e perdonarne i difetti.
In sua memoria i figli hanno murato questa lapide sul lato di sinistra della facciata principale, con la commossa partecipazione della famiglia e dei tabianesi tutti.